Thursday, 28 February 2008

Jeff Wall, the Luminist

Justine Kurland © The artist in his studio

Un essay che descrive il lavoro di Jeff Wall, il suo studio di composizione dell`immagine ed esperimenti. Lubow narra il percorso formativo e di ricerca dell` artista, l`interesse per l`arte concettuale e la meticolosita` nel coordinare ogni lavoro. Merita certamente una lettura.

by Arthur Lubow for The New York Times Magazine
On a damp winter morning, 20 weather-beaten men waited at a bleak corner in east Vancouver. You can find scenes like this in most cities: places where laborers gather, hoping that a van will pull up with an employer offering cash in return for a day’s work. This scene, however, was riddled with curious anomalies, starting with the middle-aged figure dressed in black who stood behind a tripod-mounted camera and patiently watched the men wait. And what were the men waiting for? Not a job. That they already had, courtesy of the photographer, Jeff Wall, who had hired them at the actual “cash corner” where they normally congregated and then bused them to this spot he preferred a half-hour’s drive away.
http://www.nytimes.com/2007/02/25/magazine/25Wall.t.html?pagewanted=1

Perche` si colleziona fotografia?

© Massimo Vitali

Una prima risposta arriva dal London Photographer`s Gallery nella cui sede iniziera` un corso per collezionisti aperto al pubblico, per rispondere al perche` si colleziona e cosa significa collezionare fotografia oggi.
Il percorso include lectures di curatori, relatori, giornalisti e galleristi, oltre ad artisti affermati ed emergenti. Questo team di esperti, attenti ai movimenti del mercato accompagnera` i futuri collezionisti a toccare con mano quanto offre oggi la fotografia evidenziandone le diverse realta`.
Il processo di stimolare e coltivare nuovi collezionisti e` certamente un importate passo per il sostegno della fotografia contemporanea, speriamo che altre istituzioni seguano l`esempio.

Wednesday, 20 February 2008

Intervista a Lucia Nimcova

© Lucia Nimcova

Lucia Nimcova e` una giovane fotografa slovacca che ha compiuto una serie di progetti e documentari sociali nei paesi dell`est e centro Europa. Quest`anno partecipera`con una personale al Festival Internazionale Fotografia di Roma come vincitrice del primo concorso indetto dal festival. Lucia, che ora vive a new York ci ha concesso questa intervista via email.
PH39 - What attracted you to photography and how your interest developed?

Lucia Nimcova - I started when I was nine years old, so I did not think that much about it then? I just liked it, and it is more or less same now.

PH39- How would you define your work?

LN - "Expected comes unexpectedly."

PH39- Is there a project in your work that shifted your approach to a different research process?

LN - Every project I do is somehow different for me, so I need to find right way how to work on it. For example when I was working on project Rusyns [www.rusnaci.sittcomm.sk] I realized that music was more important for me than photography, so we did also music CD, which accompanied photo book.

PH39- How do you choose your subjects and could you be accused of exploiting them?

LN - All subjects I am working on are usually very personal to me, or they disturb me a lot, so I want to know why? Line between working on subject and exploiting it is very narrow … I try to be honest … but at the end it is up to people to judge.

PH39 - Would you say your work is feminist?

LN - I hope I will never belong to any box. Term feminism has different meanings in every country, cultural context and time.
I do not think I am competent to talk about feminism, but if somebody thinks, that my work is feminist, I do not have a problem with it.

PH39 - Is your work seen differently abroad or do you perceive a different reaction to it?

LN - It is an hard question? I do not know? I would say, that I am always surprised that sometimes people from different part of the world can understand my work better than me.

PH39 -You are now staying in NYC for a while and doing residency in Netherlands, can you see a different approach to contemporary photography between the two sides of the ocean?

LN -You can see different approach to contemporary photography in every country even if you stay in Europe. It depends on education, tradition and people, who are active and influential. I think it is often very healthy not to belong to any of those groups.

PH39 - Can you tell us about your next project or what are you working on right now?

LN - I am working on my education and fighting with ignorants around the world. It is my never-ending project.

Monday, 18 February 2008

Is this public art?

© Ari Versluis

Il fotografo olandese Ari Versluis e la stilista Ellie Uyttenbroek lavorano insieme dal 1994 ad un progetto, Exactitudes che osserva e documenta dress code e diversita` di stili in varie citta` del mondo.
Prossima tappa Londra, nelle prossime settimane infatti persone del pubblico verranno invitate ad essere fotografate e i lavori verranno esposti da Selfridges.


Friday, 15 February 2008

Avedon a Milano spazio Forma

© Richard Avedon Picture of Jacob Israel Avedon


di Maria Giulia Minetti per La Stampa

Quando morì, il primo settembre del 2004, a 82 anni, Mark Donen, figlio del regista Stanley Donen, che per breve tempo era stato suo assistente, mi mandò un sms. «Dick Avedon è morto», scriveva. «Era una persona perbene. Mi disse: non fare il fotografo, i fotografi sono stupidi. Lui non lo era, per questo è stato grande». Dopo avere visto la mostra che lo spazio Forma gli dedica (Milano, piazza Tito Lucrezio Caro, fino all'8 giugno), credo di capire cosa intendesse dire Avedon con quella scortese osservazione sui suoi simili. Avedon, è palese, si sentiva un artista e agiva come tale. Gentile, affabile, simpatico, e «smisuratamente ambizioso» (ancora Mark Donen), usava la macchina fotografica con le stesse pretese con cui un pittore rinascimentale usava il pennello.

Nei ritratti Avedon ambiva a dare l'immagine «definitiva» di un grande personaggio, quella che l'avrebbe fissato per sempre nella memoria di tutti. E infatti l'immagine dei Duchi di Windsor (quella di loro due testa a testa, devastati dalle rughe, gli occhi acquosi, lei col rossetto sbavato), o di Karen Blixen (volto-teschio scheletrico ridente) o addirittura di Marilyn Monroe e dei quattro Beatles (che pure sono stati fotografati come nessun altro mai), ognuna di queste immagini è quella che si forma nella nostra mente quando si parla dei Windsor, o della Blixen, o di Joplin eccetera. È il ritratto che diventa l'«idea» del personaggio.

Poi però, chi s'aggira per la mostra, è preda di più struggenti emozioni, proprio suscitate dal tempo, dalla cronaca, dall'intrinseca qualità nostalgica della fotografia, dal suo esser legata al tempo perduto, e recuperato con una fitta al petto nel dettaglio di costume, nel volto noto, nell'ambiente d'epoca. Nella Parigi anni Cinquanta e «new look» dell'Avedon fotografo di moda la nostalgia addirittura si raddoppia: allo spettatore batte il cuore riconoscendo Suzy Parker o China Machado, modelle adorate da Dior e vestite da principesse, rasi, gioielli, guaine, crinoline, guanti, cappelli in giro per la «ville lumière» in ambienti anni Trenta, un po' da Apache un po' da aristocratici russi (ed era la raccomandazione delle redattrici di Harper's Bazaar, che dopo la guerra volevano riportare i lettori al fascino della città prebellica). Sono foto che vanno di pari passo coi film di Stanley Donen, appunto, stesso charme, stesso spirito, stessa ricreazione d'un mito su un mito precedente.

Resta da raccontare un terzo Richard Avedon, il testimone della storia, il fotografo che compone in grandi pannelli i funzionari dell'ambasciata americana in Vietnam nel 1969 o i protagonisti della politica washingtoniana dell'anno d'elezione presidenziale 1976 (il ritratto di Cheney giovane già racconta tutto il Cheney che verrà), ma anche s'aggira per Napoli o Palermo, nel 1946/47, puntando sul popolo un obiettivo neorealista. Tra le sue foto finali, un po' stererotipe, manieriste, à-la-Avedon, e queste prime, fatte da un fotografo ancora «stupido», si finisce per preferire queste. Contro il suo parere, probabilmemte.



Tuesday, 12 February 2008

Domus a special on Gio` Ponti


© Walter Niedermayr

A special issue of Domus to mark the 80th anniversary of the magazine and his founder.
Here are the artist involved: Pablo Bronstein , Francesco Vezzoli, Arturo Herrera, Tobias Rehberger, Jeff Burton, Martino Gamper, Mimmo Jodice, Luisa Lambri, Salvatore Licitra, Walter Niedermayr, Martin Parr e Tom Sandberg.
The result is a unique interpretation of Ponti`s work through contemporary eyes.

Deutsche Börse Photography Prize 2008

© John Davies



Here are the four finalist for the Deutsche Börse Photography Prize 2008
John Davies, Jacob Holdt, Esko Männikkö and Fazal Sheikh (more)